TechEconomy: serve un ReDesign per una nuova equità?

Mi occupo di design dei processi e gestione dell’innovazione. Lavoro per accelerare imprese nelle vecchie e nuove economie, e studio le rivoluzioni tech insieme alle startup.

Non mi hanno mai appassionato le competizioni speculative non basate sul merito. Certo, chi parte per primo ha un vantaggio: chi pensa prima, chi fa esperienza prima – dinamiche tipiche di alcune nuove economie.

Mi interessa – e cerco di facilitare – l’innovazione quando è diffusa, partecipata, accessibile a tutti.

Dall’intelligenza artificiale di oggi alle criptovalute di ieri, c’è sempre un Hype Tech.

Quello che vedo è un’umanità costantemente alla ricerca di nuove isole da esplorare, scoprire e conquistare.

Nel mio lavoro costruisco network e community. So che per farlo davvero servono eterogeneità, ascolto e spazio per tutti. Non bisogna essere ingombranti, ma facilitare l’incontro tra talenti diversi, creando un sistema di valore e scambio. Per questo non miro (neanche dove ho esperienza) a essere l’Esperto di tutto — LOL.

Delle cripto mi affascina il fatto che rappresentino un sistema di valore creato dalle persone, indipendente da Stati e politica, pensato per semplificare i processi e accelerare il cambiamento.

Dell’intelligenza artificiale, invece, mi incuriosisce il potenziale di amplificare i talenti, velocizzare i processi… e superare i propri limiti (e io, lo ammetto, ne ho un bel po’!).

Sono ottimista e innamorato del futuro.

Certo, è facile esserlo da Napoli, dall’Italia. Lo sarei altrove?

Continuo a sperare – e a investire molto – che siano proprio le nuove forme economiche a influenzare e costruire una nuova politica. Perché, in fondo, lì si nasconde ancora un sogno: ridurre i conflitti mossi dagli interessi.

Ma anche stavolta, un’innovazione, un’economia, un mercato non hanno preso la strada più bella?

Grazie a Vanity Fair ho scoperto una riflessione nata dal libro Gigacapitalisti di Riccardo Staglianò:

Basterebbe l’1% dei patrimoni di Elon Musk e Jeff Bezos per sfamare 42 milioni di persone.

Non è una questione di carità, ma di sistema. Abbiamo finito per accettare che l’accumulo estremo sia sinonimo di merito e che la disuguaglianza sia parte naturale del gioco.

Ma è solo il frutto di un modello che ha smantellato i meccanismi di redistribuzione. Le big tech sono cresciute infrangendo diverse regole: sul tempo che ci sottraggono, sul lavoro, eludendo le tasse e capitalizzando i dati degli utenti. Ci hanno raccontato che “se stanno bene loro, staremo bene tutti”. Ma non è così.

Ovviamente non si tratta di criticare il successo in sé – quello no – ma è utile l’esercizio di pensare e immaginare le contraddizioni di un sistema che consente l’accumulo estremo. Anche se qualcuno già si vede su un altro pianeta (sia Bezos che Musk… ne parlo qui) e potrebbe fregarsene della Terra. Una disuguaglianza così estrema non è solo ingiusta.

È inefficiente.

È pericolosa.

Serve una nuova equità: fatta di regole, di una tassazione efficace, di redistribuzione. Serve, semplicemente, un cambio di rotta. Serve ripensare – nel piccolo come nel grande (e nel grandissimo) – il nostro stesso lavoro e impegno. Dovremmo sempre includere una parte dedicata all’impatto sociale, una sorta di “terza missione”, come avviene nel mondo universitario.

Oggi sia Musk che Bezos hanno una o più fondazioni… ma in alcuni casi sono state criticate, soprattutto rispetto a modelli come quello di Gates e Rockefeller, per la loro opacità o per una filantropia più strategica e reputazionale che realmente trasformativa.

Riflessione extra: qui in Italia, strumenti e soluzioni di questo tipo sono ancora visti come esclusiva della politica, delle istituzioni o del mondo bancario. E Anche su questo fronte c’è tanto lavoro da fare. 😉

Detto questo, tornando alla radice: continuo a credere che le startup siano una straordinaria opportunità di sviluppo per i talenti di tutti i territori, senza confini culturali.

Ma è evidente che le tecnologie, le barriere istituzionali e la stessa finanza continuano a influenzare – e spesso a rallentare – la direzione del cambiamento. A partire dai limiti culturali del settore imprenditoriale. E allora, in un’epoca che parla di nuovi modelli economici, anche il sistema fiscale deve essere innovato?

Così come l’innovazione d’impresa non può fermarsi alla tecnologia, anche le regole del gioco devono evolvere. Perché solo così possiamo generare un impatto più equo e sostenibile.

Ecco perché è importante dedicare spazio, tempo e energia alla Social Innovation.