Un, due, tre… stella! AI?! L’innovazione non aspetta nessuno.

Siamo allo Squid Game Aziendale e Professionale? Chi resta fermo è fuori: Il fiore dell’ibisco è sbocciato!

Non siamo più cavalli. Né motori. Siamo esseri dalle intelligenze aumentate.

Non siamo più cavalli da traino.

Non siamo più motori da spingere.

Siamo esseri dotati di nuove intelligenze.

Riprendendo la teoria delle intelligenze multiple di Howard Gardner, viviamo in un’epoca in cui queste intelligenze sono moltiplicate e aumentate.

Aumentate come la realtà che ci circonda. Come l’interazione costante tra esseri umani e sistemi intelligenti.

Come l’AI.

“Every disruptive technology since the fire and the wheel have forced leaders to adapt or die.”

Steve Blank, 2025

Leggere il Post di Steve Blank su LinkedIn – Blind to Disruption – è come guardarsi allo specchio se si lavora con l’innovazione.

La sua metafora è chiara: nel 1900 oltre 4.000 produttori di carrozze ignorarono l’arrivo dell’automobile. Solo uno si trasformò davvero: Studebaker.

Oggi, dice Blank, siamo allo stesso bivio con l’Intelligenza Artificiale.

Una tecnologia nuova, instabile, vista ancora da alcuni come curiosità, da altri come minaccia.

Ma è davvero così?

No. O meglio: non basta più parlare di “tecnologia dirompente” come se l’AI fosse solo un nuovo motore.

L’AI non ci traina. Non ci spinge.

Ci aumenta.

L’AI è una protesi. Ma non è meccanica.

  • La carrozza era una protesi della mobilità: ci portava lontano.
  • L’auto è stata una protesi della performance: ci ha portato più lontano, più veloce.
  • L’AI è qualcosa di diverso: è una protesi cognitiva. Ci aiuta a decidere, pensare, pianificare meglio.

Non solo automatizza.

Organizza. Suggerisce. Crea.

E come ogni protesi evoluta, non funziona da sola.

Va indossata, va integrata, va addestrata.

Non è una questione di installare uno strumento.

È una questione di relazione tra mente umana e sistema aumentato.


Il vero pericolo?

Pensare che basti aggiungerla.

La metafora di Blank è potente, ma rischia di farci confondere il motore con il navigatore.

L’AI non serve solo a “fare le stesse cose più velocemente”.

Serve a cambiare le domande, non solo a trovare più in fretta le risposte.

Il problema delle aziende — e delle persone — oggi non è la cecità verso il futuro.

È la pigrizia intellettuale nel cambiare direzione.

Nel ripensare i processi.

Nel ridefinire le destinazioni.

Chi aspetta che l’AI diventi perfetta per “fare quello che facevamo prima”,

ha già perso.

E noi?

Noi siamo nel tempo della decisione.

Possiamo essere carrozze aggiornate, oppure corpi aumentati.

Possiamo cercare un nuovo motore, oppure imparare come funziona il pensiero assistito.

Io ho scelto.

Questi post, queste riflessioni, li scrivo usando diverse penne, tra queste anche l’AI.

Non per sostituirmi.

Ma per potenziarmi.

Perché la vera innovazione non è la macchina.

È il modo in cui l’essere umano decide di usarla.

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