Parto da una premessa e da un principio: fare le cose facili le fanno tutti; affrontare quelle difficili è ciò che ci insegna, ci forma e racchiude il senso autentico della crescita. È questa la vera sfida.
La campagna stampa ininterrotta che, proprio ad agosto – e no, non per il caldo eccessivo – porta avanti un amico direttore, che incontro spesso, con cui mi sono più volte confrontato e per il quale nutro sincera simpatia, va ben oltre il coraggioso.
“Ragazzi, turnatevenne a Napule!”
È un Manifesto Futurista, un invito che la Politica dovrebbe raccogliere oggi: seminare speranza, generare ottimismo e aprire strade nuove verso una storia culturale, economica e produttiva possibile per Napoli e per l’intero Mezzogiorno.
Se non si prova a cambiare direzione con una nuova idea, tutti cercheranno la via più semplice: partire, scappare, emigrare.
Come ogni innovazione, serve il coraggio della sperimentazione per accendere la scintilla, per avviare un nuovo modello, esempio, paradigma appunto.
Per certi tratti mi sembra di rivivere la stagione dell’ottimismo di quando, con un altro grande giornalista, si provava a buttare il cuore oltre l’ostacolo: chi crede nel futuro e nella bellezza è già qui, oggi sarebbe è pronto a restare, tornare o ritornare.
Si può cambiare rotta? Sì. Si può costruire un modello diverso? Si
Ma prima va ideato, progettato, sperimentato e adottato? Andrebbe… ma ora è il momento che Napoli, con la sua rinascita dal basso, sulla spinta dei napoletani tifosi, sta dando la scossa maggiore… non c’è tempo per fermarsi, serve fare, proiettare…
Però non se ci appoggiamo al vecchio e ai vecchi (schemi)! Cosa c’è di peggio che sentir parlare di futuro e di opportunità per i giovani da professori ormai prossimi alla pensione? Sempre gli stessi testimonial, chiamati a raccontare di giovani e innovazione mentre sottraggono loro stesso spazio e voce ai propri allievi e studenti. Così rischiamo di bruciare i piedi freschi delle nuove generazioni per tornare alle vecchie stampelle.
Peccato che i media della stampa, da tempo, non parlano più a tutta la società e forse dovrebbero rallentar e far riflettere chi ha già progettato il futuro altrove, con la famiglia, prima dei 18 anni, a quei ragazzi i cui genitori sognano per loro una vita migliore, fatta di riscatto e forse spesso di semplice normalità, altrove. Non a chi ha già disegnato un percorso “da campionato mondiale” tra lauree fuori sede e master internazionali.
E poco importa se tutto sembra assumere la forma di una bolla culturale: è proprio dalle bolle che spesso arrivano le esplosioni, e – perché no – anche i cambi di direzione e i ribaltamenti degli status quo
Bisogna fare attenzione, che il paradosso del paradigma, l’errore da evitare, è creare nuove disillusioni. Non possiamo parlare di nuove economie, startup e innovazioni e poi, alla fine, sostenere e far conoscere una nuova strada a chi era già rientrato, come da programmi, con un master internazionale già in tasca.
Soprattutto, dobbiamo far camminare insieme l’ottimismo e l’entusiasmo con la sfida più grande: quella della conoscenza, dello Stato e della verità della storia.
In questi giorni rileggevo i dati sull’esodo dall’Italia. Sì, esodo, perché non si può più chiamare semplicemente “mobilità internazionale”.
Tra il 2022 e il 2024, quasi 500.000 persone hanno lasciato il Paese. Solo nel 2024 sono stati 191.000: un incremento del +20% rispetto al 2023. E no, non sono solo stranieri in transito. La maggioranza sono proprio italiani: ben 156.000 espatriati, con una crescita del +36,5% rispetto all’anno precedente.
Le destinazioni preferite? Le solite: Germania (12,8%), Spagna (12,1%) e Regno Unito (11,9%). È lì che si va a cercare un’opportunità. È lì che si pensa che il proprio talento, o anche solo la propria dignità lavorativa, possa trovare spazio.
E l’Italia? L’Italia resta a guardare.
I territori più colpiti? Quelli che, apparentemente, stanno meglio. Il Nord e le zone di confine. Bolzano guida la classifica con 18,4 espatri ogni 1.000 residenti, seguita da Imperia, Treviso, Como, Sondrio e Mantova. Grandi città come Milano perdono pezzi: -33.814 residenti. Anche Bologna non scherza: -9.461.
Al Sud si emigra meno? Si ma l’impoverimento è strutturale.
Prendi Taranto: ha il tasso più basso di espatri, ma un calo demografico dell’1,8%.
La vera emergenza però ha un nome preciso: esodo giovanile qualificato. Solo tra il 2013 e il 2022, abbiamo perso 87.000 giovani laureati. Persone formate qui, cresciute qui, che altrove trovano ciò che qui non esiste: fiducia, riconoscimento, opportunità.
E qui arriva il paradosso, non il vecchio paradigma. In Italia spesso non vieni visto finché non esplodi altrove. Nessuno ti guarda, ti sostiene, ti valorizza. Poi però, se vinci fuori, lo Stato si accorge di te. Ti chiama. Ti scrive. Ti propone incentivi. Ti dice: “torna”. Ma non è troppo tardi?
Un sistema che funziona solo per chi ce la fa da solo non è un sistema. È una roulette. E l’Italia, ancora una volta, sembra pronta solo a correre in soccorso di chi è già arrivato, non di chi sta provando a partire.
Qui altre idee e riflessioni di antonio.prigiobbo.it
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